Intelligenza artificiale, sensori, app e social: come cambia la sanità

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Le tecnologie digitali generano una miniera di dati sulla salute di ciascuno

Produciamo dati in continuazione. Anzi, «siamo» dati, così come lo è il mondo che ci circonda. E la quantità di dati digitali disponibili cresce a una velocità incredibile, raddoppiata ogni due anni. Nel 2013, aveva già raggiunto i 4.4 zettabyte (1 zettabyte è pari a 1 triliardo di byte), tuttavia entro il 2020 l’universo digitale, i dati che creiamo e copiamo ogni anno, raggiungerà 44 zettabyte, ovvero 44 trilioni di gigabyte. Questa massa di dati ha un valore enorme nell’ambito medico in particolare perché permette, o meglio promette per ora, di raggiungere livelli di «sartorialità» nelle cure (senza contare i risparmi) inimmaginabili prima d’ora.

Milioni e milioni di dati

 Si affronta molto meno quello che si chiama “personomica”, ossia il feeling del paziente. Prendiamo ad esempio l’ansia: può essere estremamente negativa per un paziente, ma stimolante per un altro. Se è negativa, diventa un fattore di rischio cardiovascolare. Se invece il paziente la vede come qualcosa di positivo, non lo è. Ci sono tutta una serie di studi che dimostrano quanto questi aspetti psicologici, ma anche sociali e socioeconomici, siano importanti e incidano molto su come la persona reagisce alla malattia e anche alle terapie: se prende i farmaci o non li prende, se fa gli esercizi che gli vengono raccomandati o non li fa. Le discipline cosiddette omiche utilizzano tecnologie di analisi che consentono la produzione di un numero sterminato di informazioni: milioni e milioni di dati che devono essere gestiti, conservati e ultimo ma non ultimo, analizzati. Questa è appunto l’area del cosiddetto “data mining”: ossia quel processo di estrazione di conoscenza da banche dati di grandi dimensioni tramite l’applicazione di algoritmi matematici particolari capaci di individuare e rendere visibili associazioni esistenti fra le diverse informazioni disponibili che spesso restano “nascoste” se analizzate con gli approcci classici.

Intelligenza artificiale

Le possibilità di incrociare tutti questi dati per cucire al paziente un vestito terapeutico sempre più personalizzato sono infinite. La ricerca di una determinata parola in una determinata zona, oppure la sua ricorrenza sui social viene già oggi utilizzata negli Stati Uniti per mappare i probabili focolai di un’epidemia di influenza ad esempio. E lo stesso vale per lo studio delle possibili interferenze tra farmaci diversi. Il valore di studi di questo tipo è quello di generare un’ipotesi, poi ovviamente da dimostrare.

Segnali di infarto e ictus

La raccolta di un enorme mole di dati ha permesso di dimostrare che lo spessore di una parte della parete arteriosa delle carotidi (le arterie del collo che portano il sangue al cervello) è in grado di predire, in modo altamente significativo, l’insorgenza di eventi clinici acuti come l’infarto del miocardio e l’ictus. Il risultato è stato raggiunto nell’ambito dello studio europeo IMPROVE, che ha coinvolto 7 centri clinici in 5 paesi europei (Finlandia, Svezia, Olanda, Francia, Italia). Lo studio è stato condotto in più di 3.700 pazienti e ha generato una biobanca di siero, plasma e Dna da campioni di sangue, una archivio di scansioni ecografiche delle carotidi extracraniche e un vasto database di variabili di tipo anamnestico, clinico, ematologico, psicologico, socioeconomico e genetico.

Fonte: Corriere.it Salute

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